A te che mi hai guardato

A te che mi hai guardato

Troppo spesso dimentichiamo di prenderci cura della nostra anima, posticipando la semina di stagione in stagione, fino a quando un giorno la ritroviamo arida, incapace di sopravvivere alla siccità e tanto meno di partorire quei frutti che rendono la vita degna di essere vissuta.
Ognuno ha i suoi modi per obbligarsi a prendersi cura di sé stesso, grazie al tempo e al silenzio, e da tanti anni ormai ho compreso che il mio modo per farlo è scrivere.
Ho deciso, quindi, da quest’anno, di segnare questo percorso, fatto di stagioni, ma soprattutto di volti, dedicando ogni mese del tempo per scrivere dell’amore ad una persona che amo, e così ringraziala per il modo in cui troppe volte, senza neanche accorgersene, mi ha salvato da me stesso.
 
Questo è il mio modo di dirti grazie, perché niente di più prezioso all’inchiostro su questa pagina posso donarti.
A te dedico febbraio, il mese in cui la vita si prepara a rinascere.

Amare è, innanzitutto, scegliere di lasciarsi guardare.

Me lo hai insegnato tu la prima volta che ti ho visto.

Ricordo ancora la luce di primavera che entra dalle grandi finestre del corridoio e il brusio dell’intervallo che si riversa nell’androne risvegliando la scuola, investendola di frenesia, come sospesi in quell’atmosfera rarefatta, vedo i nostri due corpi, rivolti verso direzioni opposte, mentre i nostri volti tentano di contrastare quel moto di separazione guardandosi l’un l’altro. Già allora eravamo così distratti dai dettagli, dalle piccole cose, consapevoli che in esse si nasconde ciò che rende la vita degna di essere vissuta: le mani che fuggono in tasca perché tutt’a un tratto non sanno dove appoggiarsi, la timidezza che fa inciampare le parole sulla punta della lingua, gli sguardi che corrono, che si sfuggono, scoprendosi soltanto di sfuggita.

In quella danza delle inezie c’era già tutto quello che sarebbe stato, soltanto che allora non ne eravamo consapevoli.

Di quel momento più di ogni altra cosa ricordo i tuoi occhi, perché per la prima volta li avevo guardati veramente. I tuoi occhi hanno il raro dono di saper parlare e di farti sentire ascoltato. Molte persone ti oltrepassano con il loro sguardo, appoggiandosi dietro di te, in un luogo a cui non appartieni. Tu, invece, ti sei aperta al mio volto, accogliendolo nel tuo, per fare di me e di te un noi.

Con te, in quel momento, ho imparato che lo scarto tra il vedere e il guardare risiede nell’essere guardati. 

Il primo luogo in cui si porta l’amore, infatti, è lo sguardo e non gli occhi, perché guardare è una scelta mentre vedere è una semplice conseguenza. Dal momento in cui nasciamo e apriamo gli occhi per la prima volta siamo condannati a vedere, il mondo ci invade proiettandoci in un caleidoscopio di forme e colori i cui motivi non si ripetono mai. Per questo ci occorre tempo per sottrarci all’irresistibile fascino della novità e imparare a porgere l’attenzione su ciò che ci sta davanti agli occhi, e perché ciò avvenga è necessaria una rinuncia e, quindi, una scelta. In questo senso, due persone che si amano non si vedono, ma si guardano. Amare è proprio questo scegliere di guardare ciò che abbiamo già visto, e ripetere questa scelta istante dopo istante, consapevoli che il tempo non potrà mai esaurire l’infinito che abita il volto di chi amiamo. D’altronde, chi ama è innamorato proprio quello che non è ancora riuscito a vedere.  

Penso a noi due tra cinque, dieci, vent’anni, penso a quanto saremo diversi, a quanto i nostri volti saranno segnati dalla vita, eppure sono certo che il modo in cui ci guarderemo non sarà cambiato, adesso come allora accarezzerò il tuo viso e ancora una volta sentirò che c’è qualcosa che sfugge alle mie dita, per quanto attente siano state, qualcosa di immateriale, di effimero, che nasce e muore ogni volta che provo a toccarlo, e che nonostante ciò esiste ed è concreto, proprio perché ne vivo la presenza e la mancanza.

E che cos’è questo qualcosa, che c’è quando non lo si com-prende e che non c’è quando lo si com-prende, se non l’Amore?

L’Amore non è qualcosa di fisico, qualcosa che può essere de-finito, contenuto, bensì è qualcosa di metafisico che, in quanto tale, si sottrae alla vista e al tatto pur abitandoli entrambi nell’invisibile e nell’intoccabile, non a caso il luogo in cui si coltiva l’Amore sono proprio gli sguardi e le carezze.

“Cogliere uno sguardo”, d’altronde, significa proprio questo: rac-cogliere ciò che in quello sguardo è stato coltivato. Ma il cogliere presuppone il coltivare e non il seminare, perché il seminare è un gesto che non appena è compiuto si conclude mentre il gesto del coltivare è il suo stesso ripetersi, ed è solo in tale riaffermazione ci si predispone al raccolto, ci si prepara ad accogliere le conseguenze delle proprie scelte. Per questo se Amare è scegliere, allora Amare è innanzitutto scegliere di lasciarsi guardare.

Quando ci specchiamo nell’irride di un’altra persona, infatti, ciò che l’occhio coglie vedendo sé stesso riflesso è proprio l’incontrarsi di quello sguardo che ha scelto di accogliere nel proprio. L’incontrarsi non è l’incontro, ma la condizione dell’incontro stesso, ovvero l’incontrare (potenza) che si fa incontro (atto) grazie all’apertura ad esso. Ed è così che nel momento in cui permettiamo agli occhi di un altro di specchiarsi nei nostri permettiamo anche ai nostri di specchiarsi nei suoi.

Due persone che si amano non fanno altro che abitare lo spazio che separa i loro sguardi, questo significa “stare assieme”.

Non convivere, abitare nella stessa casa, perpetuare un rapporto in uno stesso luogo, ma accogliere nel proprio sguardo, grazie agli occhi dell’altro, ciò che soltanto lui può vedere.

Così abbiamo fatto io e te, per tutti questi anni, scegliendo di guardare il mondo l’uno attraverso gli occhi dell’altra. Abbiamo lasciato che le piccole cose ci chiamassero, ascoltandole, e così facendo le abbiamo salvate, sottraendole all’errore del tempo, al ripetersi degli istanti che non valgono un ricordo: i maglioni colorati d’inverno, le poesie lette sotto la luce di un lampione, ritornare a casa di notte tenendosi per mano e rimanere accecati dalla bellezza del giorno, i sogni, le debolezze, i progetti e gli imprevisti, piangere di nascosto e ridere sottovoce. La nostra storia è scritta nell’eternità di questi istanti, delle piccole cose su cui abbiamo saputo posare lo sguardo e, in qualche modo, mi piace pensare che in quelle nostre occhiate fugaci, scambiate di fretta, sull’orlo del suono di una campanella, ci fosse già tutto quello che sarebbe stato.

Non a caso tu lo chiami il nostro uni-verso, come a ricordarmi che, sin dall’inizio, le cose non potevano che andare in un verso che sarebbe stato unico, non tanto perché non sarebbero potute accadere diversamente, ma perché in qualunque modo fossero accadute quel modo sarebbe stato autentico, originale.

Come vi è un’unica retta che passa per due punti, ciò che passa per due sguardi non può mai ripetersi, procedendo da essi e per essi secondo una traiettoria che rende indissolubile la loro relazione.

Quante volte abbiamo esplorato questo paradosso?

Amare è continuare a riaffermare una scelta che è stata presa una volta sola.

Anche quando tale scelta viene negata, l’Amore è stato e continua ad essere.

Vedi, spesso tu dici che sono stato io a insegnarti che cosa vuol dire Amare ma, per quanto vorrei che fosse vero, è stato il contrario.

Dal modo in cui ogni volta mi guardi ho imparato che cosa significa essere amato e per tutti questi anni nello specchio del tuo volto non ho fatto altro che mimare il tuo sguardo, per imparare da te come renderti partecipe di quella stessa bellezza che mi hai insegnato a guardare e che, troppo spesso, ti dimentichi di portare negli occhi.

Giorno dopo giorno non ho cercato di fare altro se non sostituire il mio sguardo con il tuo, in modo che tu potessi vedere con i miei occhi quale dono sia essere visto dai tuoi ed è così che, guardando il mondo attraverso di te, mi hai mostrato come portare l’Amore nel proprio sguardo e come grazie esso sia possibile trovare sé stessi nel volto degli altri.

E di questo non saprò mai ringraziarti abbastanza,

Il tuo,

Andrea

Pelicula

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