Due lezioni da Max Maven

max maven illusionista

Due lezioni da Max Maven

“C’è un motivo per cui la maggior parte dei
numeri di giocoleria dura sette minuti”

“C’è un posto nella vita per i popcorn”

Con due frasi, tanto semplici quanto lapidarie, il più grande mentalista del mondo mi ha insegnato una delle lezioni più importanti che abbia mai ricevuto.

Siamo a maggio del 2019, la convention di Masters of Magic è appena finita e, dopo tre giorni passi a fare da traduttore ad alcuni dei più grandi illusionisti al mondo, un membro dello staff, sapendo che sarei dovuto tornare a Milano in treno, mi chiede di accompagnare un ospite alla stazione e fare il viaggio in treno assieme a lui. Rispondo di sì, senza fare troppe domande, e soltanto un’ora prima della partenza scopro che il mio compagno di viaggio sarebbe stato un “mostro favoloso”: Max Maven.

A fabulous monster. Questo è il titolo di un bellissimo documentario a lui dedicato che raccoglie alcuni estratti del suo one man show Thinking in Person, che il titolo di questo blog vorrebbe richiamare in suo omaggio. Per chi non lo conoscesse, Max Maven è stato per più di quarant’anni l’archetipo del mentalista moderno. Con il suo aspetto carismatico, l’umorismo tagliente e la sua genialità ha reinventato un genere che era ormai vittima dei suoi stessi stereotipi.

Ed è così che quel giorno di maggio, dopo un breve tragitto in taxi per raggiungere la stazione di Torino Porta Susa, mi sono ritrovato seduto su un Frecciarossa diretto a Milano davanti al più grande mentalista del mondo. In quei cinquanta minuti di viaggio ho avuto una delle conversazioni più intense e illuminanti di tutta la mia vita. Max era una persona dalla cultura immensa, capace di parlare di qualsiasi argomento e nutrire interesse per i soggetti più disparati, senza mai farti sentire ignorante ma dimostrandosi sempre interessato al punto di vista altrui, per quanto diverso potesse essere. In meno di un’ora abbiamo parlato di tutto, dall’interpretazione severiniana della parola greca thauma – troppo spesso erroneamente tradotta con “meraviglia” e secondo lui simile alla parola inglese “awe” – al realismo magico di Borges, passando per alcuni aneddoti relativi agli anni della sua infanzia trascorsi in Italia. Ovviamente abbiamo parlato anche di mentalismo, un argomento che in qualche modo è rimasto secondario nella nostra conversazione e allo stesso tempo inerente a tutto ciò di cui abbiamo discusso. Qualche giorno prima avevo avuto il grande onore di tradurre la cerimonia di premiazione di Derek Del Gaudio in cui gli veniva conferita la Grolla D’oro (premio che negli anni è passato tra le mani di artisti del calibro di Fellini, Pasolini e Gassman) per il suo spettacolo In and Of Itself. Durante l’intervista condotta da Walter Rolfo prima della premiazione, Max dalla platea era esploso in una risata sardonica quando a Derek era stata fatta la domanda (forse fin troppo ingenua per lui): so, what’s wrong with magic? A ormai meno di venti minuti dalla fine del viaggio, mi permetto di richiamare quella risata e, peccando nuovamente di ingenuità, ripropongo la domanda. Max, guardandomi di sbieco attraverso i suoi iconici occhiali da sole, mi consegna la prima delle due perle di saggezza che quel giorno mi avrebbe regalato: you see, there’s a reason why most juggling acts are seven minutes long.

Fateci caso. I numeri di giocoleria non durano quasi mai più di sette minuti. E c’è un motivo per questo. Di solito il giocoliere inizia la sua esibizione manipolando un certo numero di palline che nel corso dei primi tre minuti incrementa progressivamente, prima tre, poi cinque, infine sette palline tutte sospese in aria allo stesso tempo. Dopo un meritato applauso, arriva il tempo di cambiare oggetto e al posto delle palline inizia a giocolare delle clave: la forma differente dell’oggetto aggiunge un livello di difficolta ulteriore, le clave non sono statiche, ma continuano a girare su sé stesse dal momento in cui lasciano le sue mani fino a quando vi ritornano. Questa nuova difficoltà tiene alto l’interesse del pubblico per altri due minuti circa, ma arrivati al quinto minuto si inizia a sentire il bisogno di passare al gran finale: questa volta, al posto delle clave, il giocoliere si propone di tenere in aria degli oggetti dalla forma simile ma molto più pericolosi come delle torce infuocate o dei coltelli. A questo punto un minuto viene speso per creare la tensione, venti secondi sono di fatica e concentrazione e gli attimi restanti sono dedicati al suo meritato applauso. Il punto è che dopo sette minuti il pubblico ha avuto ampiamente modo di appurare la bravura dell’artista e inizia a perdere interesse in quello che fa, per quanto difficile o complicato possa essere.

The problem with magic, is that most magic acts last more than seven minutes.

Di fatto, la maggior parte dei numeri di magia differisce di poco dall’esibizione di un giocoliere. Nonostante la magia moderna nasca proprio dalla scissione della figura del prestidigiditateur da quella del jongleur messa in atto da Jean-Eugene Robert Houdin, il mago – pur presentandosi come un attore che interpreta il ruolo di un mago – instaura un rapporto con il pubblico basato essenzialmente sulla dimostrazione della sua bravura. Fa apparire un oggetto, poi lo sdoppia e infine lo moltiplica. Fa scegliere una carta, la ritrova e poi fa nuovamente la stessa cosa ma in un modo ancora più impossibile. E così via. Come il giocoliere, il mago nell’arco di un’esibizione presenta al pubblico le sue molteplici abilità, stupendolo in modi diversi e sempre più impossibili, con la sola e unica differenza che il giocoliere, al contrario del mago, ha compreso che sono sufficienti sette minuti per dimostrare agli spettatori quanto si è bravi: dopo quella soglia è tutta ripetizione oppure boriosità. Ovviamente, questo non è vero per tutti i giocolieri così come non è vero per tutti i maghi e, al contempo, ciò non significa che ci sia qualcosa di male nel fatto che certe esibizioni non dovrebbero durare più di sette minuti.

Questo ci porta alla seconda lezione che appresi quel giorno: there’s a place in life for popcorn.

C’è un posto nella vita per i popcorn. Ci sono dei momenti in cui una bella ciotola di popcorn è esattamente ciò che abbiamo voglia di mangiare: al cinema davanti a un bel film, durante festa in compagnia di amici… ma chi di noi vorrebbe mangiare popcorn per tutta la vita? Credo nessuno. Questo per dire che c’è un posto nella vita per il divertimento, per lo svago, le commedie frivole, i combattimenti di wrestling e i numeri di magia fine a sé stessi, ma questo non può essere tutto ciò su cui si basa una vita degna di essere vissuta. La magia non deve essere tutta concettuale, profonda o metafisica. Ma il punto è che non può essere innanzitutto e soprattutto frivola e triviale. Come dice lo stesso Maven in A fabulous monster:

“Gli illusionisti del XX secolo sono riusciti nella straordinaria impresa di prendere qualcosa di intrinsecamente profondo e, nell’arco di cento anni, renderlo triviale.”

È la magia che dovrebbe essere una volgarizzazione contestualmente opportuna dell’illusionismo e non il contrario. L’illusionismo inteso come nicchia raffinata e artisticamente rilevante della magia dovrebbe essere ciò che noi tutti ci aspettiamo.

Su questo argomento si è conclusa la nostra conversazione, durata troppo poco per i temi troppo importanti che ha toccato. Io e Max, una volta arrivati a destinazione, ci siamo salutati sulle banchine di Milano Centrale, in quello che ancora non sapevamo sarebbe stato un addio. Lo avrei rivisto soltanto un’altra volta poco prima della sua morte, avvenuta tre anni dopo a causa di un tumore al cervello. E credo che, in fondo, Max abbia apprezzato la macabra ironia insita nel finale della sua storia. In quell’occasione non colsi l’opportunità di salutarlo e di questo mi rimprovererò sempre, ma mi piace pensare che se lo avessi fatto avrei usato molte delle parole che qui ho scritto per ricordargli del nostro incontro e per ringraziarlo della grande lezione di cui, quel giorno, in treno, mi ha fatto dono.

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